Le curve asfaltate che costeggiano il litorale tra Vieste e Peschici preludevano gradevoli promesse alla vista: al di là dell’esile lamiera, futile barriera di una strada alta e serpentina, il mare ingoiava gli scogli a strapiombo, senza rifrangere nel suo impercettibile alito il verde della boscaglia.
I due chilometri al giorno complessivi per arrivare a piedi in spiaggia erano un adeguato riscaldamento agli accenni di tuffo in un’acqua sporca quanto colorata, dopo slalom tra bagnanti alla moda. Ma dentro il mare, mentre l’acqua ti consuma le mani e il sale ti mangia a scaglie la pelle, non danno poi tanto fastidio le urla dei bimbi selvaggi e le sfilate in bikini; se il bruciore agli occhi poco si sopporta, e i capelli poi li senti più aridi al tatto, pure i pensieri, che non sanno nuotare, ti muoiono dentro e finalmente il nulla ti abita. Il nulla che vince il vuoto, trionfo della ferinità sulla ripetizione. E sdraiati sulla sabbia, con le spalle al mare, le case bianche e squadrate, quasi fuggite dalla tela di un pittore cubista che ha finito i colori sulla tavolozza, si affollavano e si sovrapponevano sporgendosi indietro per non crollare. Sono case quelle che se non conoscono il flusso di denaro di vendite e affitti poco percepiscono lo stacco tra lavoro e vacanza. Dentro quelle mura la vita si svolge nell’attaccamento alla terra, e più gi altri si riposano, più è tempo di sudare, lavorare, vendere a turisti che lo stipendio ce l’hanno fisso. Vecchi vestiti sempre uguali, a cui sotto le unghie la terra degli orti resta incrostata, italianofoni a stento, nella loro lingua che fa mangiare le consonanti dalle vocali strette e allungate, ti offrono a prezzi irrisori i frutti della terra pugliese, confezionati se serve in barattoli e contenitori sottratti alle grandi marche, che poi devi riportare indietro.
Alla vecchina a lutto che, con le caviglie fasciate e i capelli raccolti, esce di casa poggiandosi a fatica su una sedia di legno - siederà a guardare lo scuro - l’orda dei consumatori farà la stessa impressione delle cavallette, che d’estate a tratti rumoreggiano e ricoprono le strade, per poi spostarsi e sparire. Spente le luci, chiuse le finestre, serrata la porta, il buio per lei è forse più nero; se non ha paura è perché lo conosce, sa che è sempre lo stesso.
Silvana Possidente
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